Francesco Cirillo, primula rossa dell’ala stragista del clan dei “casalesi”

Pericoloso criminale, dopo tre gradi di giudizio, condannato a 30 anni per l’omicidio dell’imprenditore Domenico Noviello, irreperibile da due mesi. Un’altra distrazione istituzionale. La reazione della figlia Domenica Noviello

Caserta, 6 gennaio 2021. Sono le ore 09:53 del giorno della Befana, il giorno dei Re Magi, dei regali attesi, anche in questo anno, che presumiamo non sarà un anno facile. Improvviso giunge il tipico segnale acustico che avvisa che sul dispositivo WhatsApp mi è arrivata una notifica. I soliti auguri o leggere battute sulle Befane, penso. No, mi sbagliavo, niente regali e neanche insulse immagini raffiguranti Befane seminude intente a cavalcare ramazze. È Mimma Noviello che mi scrive, allegandomi un link al portale https://www.juorno.it/ con la breve e lapidaria domanda: «Paolo, ti rendi conto?» Mi sorprendo, apro il link e trovo la sorpresa. No, non è un regalo e neanche il contenuto di un ilare messaggio, ma ciò che non mi aspettavo e che più di me non si aspettava Mimma Noviello: «Il mandante dell’omicidio di Noviello è in fuga, Cirillo è scappato appena la Cassazione l’ha condannato a 30 anni di carcere», questo il titolo di un articolo scritto da Fulvio Miele sulle pagine della cronaca del portale online.

Chi sia Cirillo lo si intuisce dal titolo del pezzo in primo piano, il suo nome di battesimo è Francesco ed era l’unico di una squadra di dieci criminali, al comando del famigerato Giuseppe Setola, che nella primavera del 2008 ordì ed eseguì l’omicidio dell’imprenditore di Castel Volturno, Mimmo Noviello, che sette anni prima aveva avuto l’ardire di denunciare i suoi estorsori e tra questi proprio Francesco Cirillo. Fu un omicidio, hanno stabilito gli inquirenti, voluto dall’ala stragista del clan dei “casalesi” per vendetta e come monito, deterrente verso gli altri imprenditori che si rifiutavano di sottostare alle richieste di estorsioni: se non pagate e vi ribellate, farete la stessa fine che abbiamo fatto fare a Mimmo Noviello. La logica del terrore: colpirne uno per educarne cento.

Chi sia Mimma Noviello, con un po’ di immaginazione si potrebbe pure arrivare ad intuirlo, dato che porta il cognome e persino lo stesso nome dell’imprenditore ucciso. Infatti, ella è una dei quattro figli di Mimmo Noviello, che anche per l’articolista rimane una perfetta sconosciuta, dal momento che nel suo resoconto indica solo il fratello maggiore come esposto al pericolo di ritorsioni, senza neanche citare le altre tre sorelle.

Leggo e rimango sgomento, sbigottito e così rispondo a Mimma: «Mimma, è inaudito!»

Si, è proprio inaudito che una persona indicata come uno degli esecutori dell’omicidio di Domenico Noviello, condannata in primo grado all’ergastolo, poi assolta in appello e, dopo il rinvio della Cassazione, ricondannata in appello e poi definitivamente dalla Suprema Corte condannata in via definitiva, a due mesi dalla pronuncia della condanna sia ancora irreperibile. Si, è davvero inaudito, perché a nessuno poteva sfuggire che proprio Francesco Cirillo, alias Pasqualino coscia fina, non poteva essere considerato estraneo alla morte di Domenico Noviello, in quanto egli, per quanto ricostruito dalle indagini e dai processi, costituiva la vera causa della morte dell’imprenditore, reo di averlo in precedenza denunciato e fatto arrestare per le estorsioni subite.

Il fatto è che a due mesi da quando la Cassazione ha posto la parola fine sulle sue alterne vicende giudiziarie, Francesco Cirillo, la primula rossa (che non lascia alcun biglietto, nessuna traccia e non è animato da nessun nobile proposito) dell’ala stragista del clan dei “casalesi”, con la propensione alla vedetta, è latitante, introvabile.

E se il pericoloso criminale è latitante c’è qualcuno che teme e, purtroppo per l’estensore dell’articolo di juornal.it, in apprensione non c’è solo il figlio maggiore di Domenico Noviello. Così, infatti, Mimma mi scrive, dopo un mio messaggio tendente a rasserenarla: «Sono presa dallo sconforto, spero di non aver messo in pericolo la mia famiglia con le mie scelte». E si, ha ragione Mimma ad essere preoccupata, perché lei - come suo fratello e le sue sorelle - di scelte in questo tempo ne ha fatte e pure parecchie, senza essere sostenuta da nessuno, neanche da quelli che avrebbero dovuto, istituzionalmente, essere al suo fianco. Poi aggiunge: «Paolo, io sto serena. Lo rifarei ancora e ancora e ancora, mi dispiace solo che per una serie di distrazioni varie possano andare di mezzo persone innocenti, come è successo a mio padre. È un incubo senza fine. Per questo ti chiedo di tenere gli occhi aperti e i riflettori accesi … anche per rinvigorire e rafforzare il prezioso lavoro che hai fatto con il libro su mio padre, che oggi più che mai compie il senso più profondo». A Mimma sento il dovere di dire che per me non deve avere alcuna apprensione, che il mio è stato un lavoro di ricostruzione di una vicenda che andava proposta soprattutto ai giovani e che ho realizzato con l’unico scopo di mantenere viva la memoria di suo padre. Per il resto ritengo che abbia perfettamente ragione: è una sottovalutazione che non doveva verificarsi.

Più tardi sulla mia pagina Facebook, in risposta ad un mio post, Pietro il marito di Mimma, commenta: «Passa il tempo e gli eventi si ripetono … ancora una volta si sono distratti».

È chiara, evidente l’apprensione in casa di Mimma Noviello. Ancora una volta, nelle mura della loro casa è entrata l’ansia, la paura, la preoccupazione per la loro incolumità e, generosi e apprensivi come sono, anche per le persone che in questo periodo sono state loro vicino, accompagnandoli in un percorso di ricostruzione della memoria del loro genitore. Con Mimma, Matilde e Pietro in particolare (ma anche con Massimiliano), abbiamo percorso l’Italia in lungo e in largo per proporre la storia dell’Altro casalese, facendo appassionare tanti giovani, ma lo abbiamo fatto in totale solitudine. In solitudine, perché è mancato il sostegno di chi doveva esserci ed ha scelto di stare lontano, preferendo il sostegno di altre storie, magari meno scomode e più rispondenti al modo improprio di fare anticamorra, quello dei protagonisti, dei teatranti dell’antimafia. Forse è questa la cosa che più fa male e più fa sentire soli.

Ma torniamo alla latitanza di Pasqualino coscia fina e chiediamoci, dal momento che egli non era neanche “formalmente incensurato” (tanto per usare una formula così cara a certuni in questo tempo), come sia stata possibile una tale sottovalutazione. Chiediamoci come possa essere accaduto che le strutture preposte se lo siano lasciato sfuggire così come un uccel di bosco. Anche in questo caso, credo che le responsabilità, se ci sono, siano da ricercare da più parti, anche se non mi permetto di chiamare direttamente in causa nessuno in particolare. Resto convinto, con Pietro, il marito di Mimma, che di una nuova distrazione si sia trattato. Forse la mano destra non sapeva quello che faceva la mano sinistra e certamente, come sostiene in un comunicato il sindaco di Casal di Principe, “qualche ingranaggio si sarà inceppato”. La storia si ripete: si distrassero con Mimmo, quando lo lasciarono solo con le sue paure. Si sono distratti quando nel corso delle udienze al tribunale di Napoli i familiari di Mimmo si ritrovarono in ascensore con lo stesso Francesco Cirillo, si sono distratti ora che gli dovevano stare alle calcagna e prenderlo, arrestarlo un secondo dopo l’emissione della sentenza di condanna. A questi personaggi, a pericolosi criminali del calibro di Francesco Cirillo (riconosciuto colpevole in tre gradi di giudizio), bisognerebbe stare con il fiato sul collo e, invece, no, gli si lascia spazio, gli si allargano le maglie intorno e loro, naturalmente, che fessi non sono, ne approfittano.

Questa la dichiarazioni di Mimma Noviello, rilasciate all’agenzia Ansa, che non richiedono ulteriore commento: «Sono sconvolta e indignata e anche molto preoccupata, visto che io e i miei fratelli ci abbiamo messo la faccia affrontando tutte le udienze, e guardandolo negli occhi. E devo dire che ero convinta, nonostante in aula avesse mostrato un volto quasi dispiaciuto, che non avrebbe aspettato tranquillamente a casa le forze dell'ordine che venivano ad arrestarlo».

Ciò che è accaduto, come sostiene il Comitato don Diana e il sindaco Renato Natale, preoccupa e può rappresentare un segnale dell’abbassamento di attenzione sulla criminalità organizzata nei territori dell’Agro Aversano. Chi può, chi ne ha il dovere istituzionale, ne ponga rimedio.