L’oste è vecchio e stanco

Chiude la Puteca de mieru, il luogo dove si incontravano le anime belle del Salento

Due stanze dove un tempo abitava un certo Marsiminio, un laborioso contadino del Salento con sua moglie. Due stanze che per molto tempo, dopo la morte del contadino amico di mio padre (ma lì, in quella via Vittorio Emanuele II, a Minervino di Lecce, erano tutti amici, un tempo), erano rimaste vuote e stavano per crollare.

Tornavo a casa da una delle città dove mi ero trasferito e, ogni volta, vedevo quel posto sempre più decadente. Lo ricordavo il compare Marsiminio (si, lì in quella strada, ma in quasi tutto il paese siamo tutti compari, perché è raro non aver mai tenuto a battesimo qualcuno, fatto da padrino alla cresima di qualcun altro o da testimone ad un matrimonio) seduto davanti all’uscio della porta di casa sua, infilarsi le scarpe con il carretto carico di fieno per gli animali da governare. Tornavo e quella figura di uomo che si spaccava la schiena nei campi, la vedevo, la immaginavo ogni volta davanti a quella casetta sempre più cadente.

Un’estate ero lì per le vacanze estive e mia madre, nel nostro dialetto mi disse: «Sai, nella casetta di Marsiminio hanno aperto una puteca de mieru», una bottega del vino.

Nel nostro immaginario di Salentini, la puteca de mieru rimanda ad una piccola bottega dove si mesceva (quasi sempre utilizzando quella decina di bicchieri, lavati in una vaschetta con dell’acqua, che man mano che si lavavano – si fa per dire - i bicchieri, assumeva sempre più il colore roseo del vino rosato del Salento) il vino durante le sere in cui i contadini, giocando a tressette, a briscola o a scopa, si rinfrancavano dalle fatiche delle giornate di lavoro, tornando quasi sempre ubriachi dalle loro mogli, che dovevano anche sopportare il loro alito puzzolente, dopo aver sopportato una giornata di lavoro nei campi insieme agli stessi mariti e accudito i figli. Erano altri tempi e la vita scorreva così, scandita dal faticoso lavoro nei campi, dai rintocchi delle campane della cattedrale che segnavano gli orari e persino i giorni della festa, dalle ore passate all’osteria e dalle chiacchere per non ricordare. Queste erano le antiche puteche de mieru a Minervino di Lecce e nel Salento e credo anche in altri luoghi del Sud Italia.

Non era questa, però, la puteca de mieru a cui faceva riferimento mia madre una ventina di anni fa, quando contenta mi avvisò che il signor Antonio, un simpatico signore che aveva trascorso la vita a Torino, era tornato al paese ed aveva investito i suoi risparmi in una piccola attività di ristorazione che si richiamava alle antiche origini e tradizioni contadine del nostro Sud.

Antonio, un simpaticissimo uomo, piccolo di statura, capelli grigi e corti, occhiali chiari e un simpatico pizzetto bianco, tornato dentro a quelle due stanze, realizza la sua osteria, un luogo unico, esclusivo. Lì fa tutto da solo, cucina, serve ai tavoli, intrattiene i clienti narrando aneddoti di civiltà contadina, dei ricordi di emigrante. I suoi prodotti e i suoi vini sono tutti di prima scelta, di qualità. Il Primitivo, il Negroamaro, il Metiusco non sono solo vini, ma attraverso di loro si può ripercorrere, raccontare la storia, la storia di questa terra. La mozzarella di bufala, il capocollo di Martina Franca, la burrata barese, le orecchiette, le sue buonissime polpette e i pezzetti di cavallo, le noci e i formaggi ricercati e l’oste sempre disponibile. Qui, da quando Antonio ha ridato vita alla casa del compare Marsiminio, d’estate o d’inverno, si danno appuntamento le anime e i volti belli del Salento e non solo.

Tra i pochi tavoli che Antonio ha a disposizione, il lunedì è dedicato agli artisti che a turno si danno appuntamento con chitarre, nacchere, fisarmoniche e tamburelli. Il lunedì è il giorno in cui riecheggiano le antiche risonanze, una festa degli artisti. Un lunedì di una qualche estate fa toccò a me. Tra i versi di Ovidio e quelli del poeta salentino Fernando Rausa, declamati dal figlio Paolo Rausa, il suono delle chitarre e le voci di artisti locali, leggemmo il mio libro A testa alta. Fu una serata indimenticabile, il mio libro letto a cento metri dalla casa che mi aveva visto crescere. Torno spesso in Salento e non manco mai di far visita ad Antonio ed alla sua puteca de mieru. Da lui la tappa è obbligata.

Quest’anno, qualora le frontiere regionali saranno riaperte ed io dovessi ritornare nei miei luoghi d’origine, probabilmente la bellezza e la magia della puteca de mieru, dove le vite si toccano, non potrò più vederla, non potremo sederci su quelle panche e, cantando e brindando, fare amicizia con chi cena accanto a noi al ritmo di un tamburello, alla melodia di una chitarra, alla nenia di una fisarmonica. Non potremo, perché Antonio ha detto che è vecchio e stanco. Che lui sia vecchio e stanco di fare l’Oste non ci credo neanche un po’. Forse è stanco per altro.

Ma che l’oste è stanco lo ha scritto egli stesso, con amarezza, in un messaggio affidato alla pagina Facebook de la Puteca de mieru:

«Fra non molto finirà tutta questa storia delle limitazioni imposte a cui è soggetta anche questa osteria. Se c'è qualcuno a cui piace questo genere di attività e che vuole e può investire, questo è un ottimo momento per fare un buon affare! In questo momento di chiusura forzata, la stessa è piuttosto deprezzata e io non ho più la voglia di continuare questa avventura, sono vecchio e stanco. Alla prossima apertura può tranquillamente operare con le attrezzature perfettamente funzionanti e l'arredamento è gradevole e funzionale».

La Puteca de mieru, dunque, sarebbe destinata a chiudere, forse a passare di mano. Le limitazioni imposte dal cosiddetto distanziamento sociale per evitare il rischio di contagio del virus ha colpito anche un luogo simbolo del paese in cui sono nato, un patrimonio culturale dove era bello riunirsi ed in allegria trascorrere delle belle serate. Il suo locale è piccolo e creare le condizioni imposte dai decreti governativi sarebbe forse difficile.

Davvero non possiamo più ritrovarci da Antonio? Credo che delle strade per mantenerla aperta potrebbero esserci, per tornare a cantare, a ridere, a scherzare, a leggere poesie, a sognare nella Puteca de mieru in compagnia dell’Oste. Un’idea ce l’avrei, ma io posso solo suggerirla: nei mesi estivi concediamo alla Puteca de mieru di occupare con i tavoli il pezzo di strada di via Monte Grappa che lateralmente confina con i suoi locali.

di Paolo Miggiano