Dodicesimo anniversario dell’assassinio di Mimmo Noviello tra velata censura e solitudine

Oggi, 16 maggio 2020, ricorre il dodicesimo anniversario dell’assassinio di Domenico Noviello e quest’anno, a quanto è dato di sapere, a causa delle note restrizioni in materia di assembramenti, non ci saranno commemorazioni da organizzare: niente prefetti, questori, magistrati, uomini impegnati nella cosiddetta antimafia sociale, niente scolaresche distratte ad assistere alla commemorazione dell’imprenditore di Castel Volturno.

Insomma, quest’anno, se volessimo sapere come sarebbe stata la commemorazione di Mimmo Noviello, potremmo recuperare le istantanee degli ultimi undici anni, le troveremmo sempre le stesse. E se quelle fotografie potessero parlare, anche le parole suonerebbero identiche, con qualche distinguo naturalmente.

Per undici anni, da quell’ormai lontano 16 maggio del 2008, c’è stata la Federazione Antiracket Italiana (struttura associativa che organizza alcuni imprenditori a reagire al racket delle estorsioni) che ha organizzato un momento di dibattito intorno alla figura di Mimmo Noviello, un imprenditore onesto che per aver reagito ai clan di camorra venne ucciso. Era diventato un appuntamento annuale e un momento importante, organizzato con le migliori intenzioni alla presenza dei familiari di Mimmo, che quest’anno probabilmente non si potrà replicare. Per i più è un dispiacere non poter partecipare e confrontarsi sui temi della legalità, dell’impegno istituzionale contro la camorra in una giornata così rievocativa.

Ma non tutto viene per nuocere, perché, come sostiene Mimma Noviello, una dei quattro figli di Domenico Noviello, almeno quest’anno, ci saranno risparmiate le maschere dell’ipocrisia indossate da certi autorevoli personaggi dell’antimafia, domandandosi: come faranno, con queste restrizioni, a indossare un’altra maschera per proteggere le vie respiratorie dal contagio Covid19? Ebbene si, la penso come lei. Mimma ha ragione, intorno alla cosiddetta antimafia sociale spesso si nascondono personaggi che fanno solo finta di assecondare gli interessi generali di una società libera dalle mafie e, in particolare, le istanze dei familiari delle vittime della criminalità. Costoro simulano molto bene il loro impegno, ma in realtà privilegiano i loro interessi e quelli dei loro amici.

Sulla vicenda di Mimmo Noviello e sulla sua solitudine da vivo e da morto ho scritto un libro. Si intitola L’altro casalese . Domenico Noviello, il dovere della denuncia, un libro che oltre ad incominciare ad affermarsi in alcune premi letterari, ad un anno dalla sua pubblicazione per la casa editrice Di Girolamo, ha incontrato il consenso di un vasto pubblico, soprattutto di giovani desiderosi di sapere, di conoscere la storia di un uomo perbene. Un libro la cui diffusione è stata fermata dalle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria in corso. Con la rassegna letteraria itinerante #discorsiindivenire di Alessia Guerriero e con altri soggetti sociali come scuole e associazioni, infatti, avevamo un vasto programma di presentazioni in giro per l’Italia, che abbiamo dovuto rimandare.

Prima dell’emergenza per il Covid – 19, però, non sono mancati coloro che questo libro lo avrebbero voluto bruciare ed altri che lo hanno boicottato, censurandolo. Ci sono stati, infatti, personaggi legati ad istituzioni deputate, con fondi pubblici, alla diffusione delle storie delle vittime innocenti, che divulgano e diffondono ogni genere di narrazione anche poco attinente al tema, che hanno preferito ignorarlo, censurarlo. È un loro diritto, né io ho chiesto un loro intervento in tal senso, ma restare inerti o addirittura respingere, come è stato fatto, una legittima richiesta della figlia dell’imprenditore ucciso, la ritengo un’offesa non solo a lei, ma alla memoria del padre. Evidentemente, costoro considerano la storia di Mimmo Noviello una vicenda di poco conto; meglio, quindi, assecondare altre richieste e altri interessi. Per noi meglio continuare a contare sulle nostre forze e sulle nostre capacità di far conoscere queste storie. Oggi commemoriamo Mimmo Noviello come avrebbe voluto, ricordando la sua storia e diffondendola nella società. Lo facciamo da soli, senza invocare alcun intervento di uomini e donne in maschera.

SCHEDA LIBRO

Ci sono storie che vanno raccontate. Per senso della memoria, perché rappresentano un pezzo importante della nostra storia. Vanno narrate anche quando accadono a Casal di Principe o a Castel Volturno. È terra del clan dei casalesi che, in un capovolgimento semantico e culturale, ha scippato il nome ad una comunità. Ma questi sono luoghi in cui vivono soprattutto tante persone perbene. Domenico Noviello era una di queste. Uno degli “altri Casalesi”. Uno dei veri Casalesi.

In questo volume, Paolo Miggiano ne ripercorre l’impegno antiracket e la rettitudine morale, testimoniata oggi dai figli, che mostrano, con fragile fierezza, il loro dolore di sopravvissuti all’immane tragedia. L’altro Casalese è un libro sulla camorra e l’anticamorra, ma restituisce dignità narrativa a una persona che non si è chinata alle imposizioni dei clan. Quella di Domenico Noviello è una storia importante. Una storia non proprio troppo comune, ma che può ripetersi e accadere ovunque. La sua è la storia di un uomo che non vo- leva affatto diventare un eroe, ma essere solo un uomo normale. Noviello fu ucciso perché lasciato solo. Per la sua morte ci dobbiamo senti- re tutti un po’ vittime, ma anche un po’ carnefici. Per questo la sua è una storia che dobbiamo conoscere.