Ancora senza volto gli assassini di Dario Scherillo, una vittima senza colpa

Il pubblico Ministero chiede l’archiviazione, ma i familiari non ci stanno

di Paolo Miggiano

Dario Scherillo, 26 anni, ucciso per l’errore di alcuni criminali durante la cosidetta faida di Scampia del 2004. Mancavano pochi giorni al Natale, ma per lui era in agguato la morte. Ne ho scritto in “Qualcun altro bussò alla porta” (Spot Zone Edizioni) ed in “La guerra di Dario. Vivere e morire a Napoli” http://www.tralerighelibri.it/Letterature. Quella di Dario Scherillo è una vicenda che seguo sin da quando il ragazzo perbene che era veniva narrato come un affiliato ad una delle fazioni di camorra in guerra tra loro. Ecco, diciamo che a Casavatore, accanto alla famiglia di Dario, ci sono stato quando ci dovevo essere e non eravamo in tanti. Questa però è un’altra storia.

A quindici anni dall’assassinio di Dario, sappiamo che lui con la camorra non aveva proprio nulla a che spartire. Lui alla guerra, che a quel tempo era in atto nel suo paese, non prendeva parte. Non era la guerra sua. Lui e i suoi fratelli ne combattevano un’altra di guerra ed era quella contro la precarietà, diventata legge dello Stato. Della sua morte sappiamo che non era lui il bersaglio, che a morire doveva essere un altro, ma non sappiamo con precisione chi fu a sparare e chi gli diede l’ordine di punire.

In tanti anni di indagini, mai un indizio, mai una traccia, mai nessuno dei vari collaboratori di giustizia che abbia parlato di questo terribile omicidio. Silenzio, fino a quando qualcuno finalmente ha parlato. Sono in tre a provare a squarciare il muro di omertà durato circa un lustro: Carmine Cerrato, Biagio Esposito, Pasquale Riccio, tutti camorristi, tutti collaboratori di giustizia, tutti uomini di spicco del clan Amato – Pagano che nel 2004 si era scisso dal clan di Paolo Di Lauro.

Nel procedimento penale instaurato per la morte di Dario Scherillo risultano indagati Raffaele Amato e Cesare Pagano, quali mandanti; Davide Francescone, Paolo GUarracino e Giorgio Scarpato (questi ultimi entrambi deceduti in altri agguati), quali esecutori.

Le dichiarazioni di Carmine Cerrato

Il primo a cominciare a parlare è stato Carmine Cerrato (uomo di spicco e killer del clan Amato – Pagano, scissionisti), il quale negli interrogatori del 1 e del 6 dicembre 2010, riferisce di aver appreso da Raffaele Amato che ad uccidere, per errore, Dario Scherillo fu Paolo Guarracino detto Paoluccio e Davide Francescone che guidava il motorino. Secondo quanto appreso direttamente da Raffele Pagano, mentre si trovavano in un covo a Varcaturo, Carmine Cerrato racconta anche che a dare l’ordine di uccidere il figlio di Tonino Orefice (affiliato al clan Di Lauro) era stato Cesare Pagano: «[…] Amato era arrabbiato e stava urlando per il fatto che si era ammazzato questo ragazzo che era innocente […] la vera vittima di questo omicidio doveva essere il figlio di Tonino OREFICE che era affiliato al clan Di Lauro. Ma Paolo si era sbagliato ed aveva ammazzato uno per un altro, in quanto la vittima aveva lo stesso motorino del figlio di Tonino Orefice, se non sbaglio un SX di colore bianco».

Carmine Cerrato, dunque, avendo come fonte Raffaele Amato (che si attribuirebbe, insieme a Cesare Pagano, il ruolo di mandante), addossa l’omicidio di Dario Scherillo a Paolo Guarracino (ucciso in un altro episodio) ed a Davide Francescone ed indica come obiettivo il figlio di Tonino Orefice appartenente alla compagine criminale dei Di Lauro.

Le dichiarazioni di Biagio Esposito

Qualche giorno dopo, il 29 dicembre del 2010, sarà il collaboratore di giustizia Biagio Esposito a fare altre dichiarazioni sull’omicidio del giovane di Casavatore, ucciso a via Segrè la sera del 6 dicembre del 2004. Anche lui rende dichiarazioni de relato. Parla per sentito dire. A riferirgli dell’assassinio di Dario, neanche tanto direttamente e alludendo al fatto mediante una telefonata, fu Paolo Guarracino proprio pochi minuti prima del suo arresto, avvenuto il 6 dicembre del 2004 mentre si trovava a Ravenna: «[…] Ho comprato una torta. Io gli chiesi il perché e lui mi invitò a guardare il telegiornale. […] quando fui portato quel giorno del mio arresto, ossia il 6.22.2004, nel carcere di Ravenna vidi il telegiornale e sentii che la persona ammazzata a Napoli era un ragazzo estraneo alla camorra di nome Scherillo».

Qualche tempo dopo, però, nel 2006, fu lo stesso Paolo Guarracino, secondo la ricostruzione del collaboratore di giustizia, nel corso di un colloquio presso il carcere di Parma, dove Biagio Esposito era detenuto, a confermargli che lui (Paolo Guarracino) e Giorgio Scarpato (entrambi scissionisti) avevano sparato per errore a Dario Scherillo. Secondo la ricostruzione che Paolo Guarracino fa a Biagio Esposito, l’obiettivo era Giuseppe Prezioso, detto A’ Befana, uomo di fiducia di Cosimo Di Lauro e tramite tra quest’ultimo e il padre Paolo Di Lauro che era latitante.

Il racconto di Biagio Esposito non appare coincidente con quello che ci aveva detto Carmine Cerrato, se non nella parte in cui è lo stesso Paolo Guarracino che si attribuisce l’omicidio di Dario, ma oltre ad indicare un obiettivo diverso, cioè Giuseppe Prezioso (e non il figlio di Tonino Orefice), dice di aver partecipato all’azione omicidiaria insieme a Giorgio Scarpato (e non con Davide Francescone). Anche in merito ai mandanti, Biagio Esposito non dice nulla. Pure Giorgio Scarpato è deceduto.

Le dichiarazioni di Pasquale Riccio

La terza ricostruzione, invece, la fornisce un altro collaboratore di giustizia, Pasquale Riccio (affiliato al clan Abbinate) il 18 marzo del 2015, quando riferisce, in maniera piuttosto generica, di aver appreso dell’omicidio di Dario, sentendone parlare da Rito Calzone (un affiliato al clan Amato - Pagano, scissionisti), senza però fornire altri dettagli circa i mandanti e gli esecutori.

Un quadro probatorio incerto

La lettura degli atti ci presenta, quindi, un quadro probatorio incerto, dove due dei collaboratori riferiscono aspetti e dettagli molto discordanti tra loro, mentre le dichiarazioni del terzo sono talmente generiche, che nessuna valenza assumerebbero in sede dibattimentale. Del resto gli stessi esecutori materiali (Paolo Guarracino indicato da Carmine Cerrato e Giorgio Scarpato indicato da Biagio Esposito) non possono dirci più nulla in quanto sono entrambi deceduti: Paolo Guarracino è scomparso per lupara bianca nel febbraio del 2007; Giorgio Scarpato, ucciso in un agguato il 19.07.2007.

Non ci illudiamo, quindi, di dare – almeno per ora - un volto ai mandanti e agli esecutori dell’assassinio di Dario Scherillo. So che con questo diamo un dispiacere a quanti hanno a cuore la giustizia in questo Paese, ma soprattutto alla famiglia di Dario, alla madre Enza, ai fratelli Marco e Pasquale, che si battono per la verità e per la memoria del loro caro così tragicamente scomparso.

Sappiamo di dare un dispiacere, ma in uno stato di diritto, anche quando la verità storica ci appare evidente, non si può condannare qualcuno in assenza di prove inconfutabili, capaci di reggere e superare la verifica imposta dalla legge, cioè quella del processo. Certo il magistrato avrebbe potuto usare maggiore accortezza nel redigere l’avviso alla persona offesa del reato della richiesta di archiviazione e riportare correttamente il nome di battesimo di Dario. Un’accortezza che gli avrebbe evitato di chiamare Davide un ragazzo che si chiamava Dario, ma questo è solo un refuso e non gliene vogliamo fare una colpa eccessiva, ma il rispetto per i morti ammazzati innocenti passa anche per queste piccole cose.

Così, il procedimento penale, istruito con la morte di Dario nel 2004 e già archiviato nel 2006, si avvia ad essere archiviato per la seconda volta. Con questa richiesta di archiviazione, emessa in data 24 ottobre 2018, sembra chiudersi un'altra pagina della triste vicenda, perché non c’è concordanza nelle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. Tuttavia, pur rendendo una narrazione diversa tra loro, tutti concordano sul fatto che Dario Scherillo non doveva morire, perché il suo assassinio fu il frutto di un errore di persona, in quanto la vittima designata, il condannato a morte, era un soggetto diverso.

La famiglia di Dario, però, non è convinta che il caso sulla morte del loro congiunto vada archiviata ed ha dato mandato al proprio legale di opporsi alla richiesta di archiviazione. Per l’avvocato Gianni Zara che segue la famiglia, infatti, pur sostenendo che gli elementi probatori acquisiti dagli inquirenti non siano sufficienti a reggere l’accusa in giudizio, ha proposto opposizione all’archiviazione, richiedendo di integrare i mezzi istruttori, mediante l’approfondimento delle dichiarazioni fornite dai collaboratori di giustizia, l’esame di altri collaboratori di giustizia, che potrebbero rivelare fatti e circostanze che ancora non sono emerse. Non ci spieghiamo, perché agli atti non risultano essere stati sentiti gli stessi indagati, sottolinea l’avvocato Giovanni Zara. Anche la visione in carcere del film “Ed è subito sera”, ispirato alla storia di Dario Scherillo, secondo il difensore della famiglia Scherillo, potrebbe essere un’occasione per indurre qualcun altro a parlare. L’auspicio è quello che un giorno possiamo guardare in faccia chi ha ordinato e compiuto l’assassinio di un giovane che con la camorra non aveva nulla da spartire.